In tempo di crisi la responsabilità sociale di impresa ha ancora un valore ? Per Carluccio Sangalli “I numeri parlano da soli. Da una recente ricerca della Camera di commercio di Milano risulta che le imprese milanesi spendono circa un miliardo all’anno per le iniziative responsabili. Le aree di intervento più significative sono la tutela dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente. Lo strumento più adottato è il codice etico, ben 7 imprese responsabili su 10, e il 2% sceglie il bilancio sociale. C’è da segnalare che se per il 73,5% delle imprese la responsabilità sociale si realizza nel quotidiano tutti i giorni solo l’11,4% si preoccupa di certificarlo con un atto formale. Ma con la crisi un terzo delle imprese, il 34%, ha ridotto la sua azione sociale, ma non ha di certo smesso di essere attenta alla dimensione etica.
Quindi insomma la crisi ha influito sull’attenzione sociale?“Ha influito sulla disponibilità di risorse, non sulla cultura. In realtà io credo che proprio la crisi riapra in modo forte il tema di una economia più attenta allo sviluppo diffuso che al mero profitto finanziario. Soprattutto è necessario superare la dicotomia pubblico privato. C’è un privato che ha un valore pubblico e che crea nuove forme di welfare, pensiamo ad esempio alle settemila imprese italiane impegnate nella formazione ed assistenza dei bambini, un settore in crescita del 3% nonostante la crisi. Ma lo stesso negozio di vicinato svolge una funzione pubblica nel momento in cui presidia un territorio, crea relazioni, porta la spesa ai clienti anziani, offre un panino a un senza tetto. Mi ricordo il tema di un bambino delle scuole elementari che diceva “il paese di mio nonno non ha negozi, e non sembra neanche un paese”. Insomma la dimensione pubblica è collegata a quella privata da una realtà ricca di sfumature e complessità. Di certo la responsabilità sociale di impresa è un elemento forte di questa continuità.
C’è dunque bisogno di un nuovo modello di welfare? Carluccio Sangalli ne è convinto: “ Sì, la crisi ci sta ricordando con grande urgenza temi non nuovi. Inoltre i problemi irrisolti del welfare si ripercuotono sulla produttività del sistema economico. Ad esempio, purtroppo, sono ancora molte le donne che dovendo sopperire alla mancanza di servizi alla famiglia non possono partecipare pienamente al mercato del lavoro, alla creazione di nuove imprese. Sono tre secondo me le dimensioni su cui riflettere. La prima è che la società non è solo un mero utente dell’assistenza pubblica, deve avere un suo ruolo attivo, da qui l’importanza del terzo settore. La seconda è quella del tempo. Alcune imprese, ad esempio, stanno ripensando la contrattazione anche in base al tempo richiesto al collaboratore e in relazione al percorso di vita del dipendente. Ma questo è un tema che riguarda anche gli orari dei servizi pubblici, l’efficienza dei trasporti, le infrastrutture tecnologiche. Una società, una famiglia non può esistere senza un tempo condiviso, senza le feste, senza i riti collettivi. Terzo fronte, un nuovo patto fiscale che premi in particolare le imprese che investono negli altri, nella società”.
Insomma per il presidente della Camera di Commercio di Milano in un certo senso il futuro deve un po’ tornare a essere quello di una volta: “L’economia deve essere sempre di più al servizio della persona, ma bisogna saper innovare per tornare a questa verità. Incrementare la produttività per aumentare la torta da cui poter ottenere fette più grandi per tutti. E’ interessante leggere che Cherubino da Spoleto, un francescano medioevale noto per aver fondato i monti di Pietà, sosteneva che saper fare bene il proprio mestiere verrà contabilizzato come merito anche a chi è in peccato mortale, perché vuol dire che qualcosa di buono per gli altri è stato comunque fatto. Il vocabolario, dell’etica, dello sviluppo hanno insomma le stessi radici,” dice Carluccio Sangalli, “tanto che come sostenevano gli umanisti francescani il denaro è come l’acqua: se circola porta vita, se ristagna malattie“