Il focus del webinar è il modello innovativo di gestione dell’energia che sta alla base delle Comunità energetiche rinnovabili.
Renato Ornaghi e Andrea Borroni ci spiegano come questa soluzione ecosostenibile può condurre ad un’importante ottimizzazione economica.
Quali sono le opportunità offerte dalle comunità energetiche?
Il momento storico e conseguentemente economico che stiamo attraversando è per certi versi epocale. Da un lato le istanze della sostenibilità, dall’altro il continuo rialzo dei prezzi delle commodities energetiche, non di pochi punti percentuali ma di un intero ordine di grandezza (ad inizio 2021 il metano quotava 20 centesimi al metro cubo, nel mese di luglio 2022 ha superato la fatidica cifra di 2 euro a metro cubo) hanno posto ormai all’attenzione dell’utente finale, anche quello più distratto, della necessità di affrontare finalmente e in prima persona l’opzione cruciale della autoproduzione energetica da fonti non più fossili, ma rinnovabili.
Molti privati e piccole e medie imprese stanno adottando soluzioni di autoproduzione, le quali però per loro natura non sono estendibili a tutti i cittadini. Ecco quindi che le Comunità Energetiche (di energia rinnovabile) possono permettere anche a coloro che non possono sostenere un investimento importante di condividere l’energia prodotta da altri impianti rinnovabili vicini, qualora questi siano disposti a mettere a fattor comune l’energia eccedentaria prodotta.
La Comunità Energetica rappresenta quindi un vero e proprio “patto” tra consumatori vicini tra loro geograficamente. Un patto nel quale ci si impegna vicendevolmente a condividere il consumo immediato dell’energia prodotta e messa in rete. È un’ottimizzazione economica innanzitutto, ma anche un nuovo accordo sociale. Infatti i benefici emergenti dalla condivisione dell’energia rinnovabile vanno a vantaggio di tutta la collettività, non solo dei possessori degli impianti.
Come funziona una comunità energetica, e quali sono i problemi principali che si trovano, nel costituirla?
Una comunità energetica è una associazione di utenti elettrica che condividono tutta l’energia da loro prodotta da fonte rinnovabile. Ciò ha come fine quello di coprire il loro fabbisogno energetico simultaneo, indipendentemente dalla connessione fisica agli impianti di produzione.
La parola chiave è appunto condivisione: occorre che l’energia autoprodotta venga consumata nel medesimo momento in cui viene prodotta. Laddove ciò avvenga, viene riconosciuto alla comunità un incentivo importante di durata ventennale, il quale è direttamente proporzionale all’energia elettrica rinnovabile ora per ora condivisa.
Le regole tecniche oggi vigenti per una comunità energetica prevedono che la taglia di potenza elettrica massima incentivabile di un impianto rinnovabile sia 1.000 kW. È previsto inoltre che gli utenti elettrici partecipanti alla comunità siano tutti sottostanti alla medesima cabina elettrica primaria (la cabina elettrica che trasforma la corrente da alta a media tensione).
Le problematiche sono sia tecniche e di identificazione della formula di aggregazione più snella per tutti gli utenti aggregati, ma soprattutto a mio avviso di carattere informativo e culturale. Gli utenti non sono abituati a ragionare in termini di condivisione, preferiscono fare da soli e di norma c’è una naturale ritrosia a ragionare in termini comunitari aggregati.
Il ruolo delle amministrazioni locali, per informare e facilitare la nascita di nuove comunità energetiche è dunque fondamentale, al fine di vincere lo scetticismo e dare le giuste informazioni. Inoltre fa in modo che i territori non perdano un’opportunità così significativa e importante, ai fini dell’autonomia energetica e della sostenibilità ambientale di lungo periodo.
Come si arriva alle Comunità Energetiche?
L’idea delle Comunità Energetiche (di energia rinnovabile) è il frutto di una lunga stagione di studi ed esperimenti giuridici, le cui radici affondano nei fenomeni cc.dd. partecipativi.
Il tema del partecipazionismo, dopo le iniziali resistenze della prassi e della dottrina, è riuscito a imporsi come un’opzione economica moderna ed efficiente a tutti i livelli e si presenta, oggi, in ogni caso, sotto varie forme, caratterizzandosi per una evidente vis espansiva. Il punto d’arrivo della filosofia partecipativa è costituito dagli Employee Stock Ownership Plans (ESOPs), istituti giuridici di origine anglosassone. Questi assumono la forma di schemi di retribuzioni accessorie erogate sotto forma di titoli ed obbligazioni dell’impresa a favore dei propri lavoratori, dei quali mi occupo professionalmente e accademicamente ormai da molti anni.
La funzione principale dell’ESOP è indubbiamente di ordine distributivo, ma esprime la propria finalità precipua nell’espressione del potenziale partecipativo tramite l’influenza e la condivisione delle decisioni d’impresa.
La duttilità dello strumento dell’ESOP porta a ritenere che lo stesso possa costituire un modello applicabile non solo a favore dei dipendenti, ma in tutti quei casi in cui sia necessario realizzare forme di partecipazione di una data categoria di soggetti al capitale o alla governance di una forma associativa.
Quindi, le comunità energetiche condividono il substrato ideale dell’ESOP: responsabilizzano i partecipanti, perseguono interessi comuni, rispondendo a esigenze di tutela del potere di acquisto salariale e di preservazione delle realtà locali.
La compartecipazione nel settore delle energie rinnovabili (ER) rappresenta un passaggio fondamentale per realizzare gli obiettivi ai quali mira il processo di transizione energetica; in questo senso, la Direttiva sulle Energie Rinnovabili (Renewable Energy Directive – RED II) si colloca nel cd. pacchetto sull‘energia pulita promosso dall‘Unione europea, con regole che vanno a combinarsi e integrarsi con la Direttiva e il Regolamento sul Mercato Interno dell‘Elettricità (Internal Electricity Market Directive – IEMD, Internal Electricity Market Regulation – IEMR) del 2019.
Più specificamente, l‘art. 22 del RED II obbliga gli Stati membri a introdurre una “cornice attuativa” per promuovere e favorire lo sviluppo delle Comunità di Energia Rinnovabile (CER). Le CER, in sintesi, (i) sono un soggetto giuridico al quale si partecipa su base aperta e volontaria. Esse (ii) devono rimanere autonome e (iii) tendono al controllo di azionisti o membri che siano localizzati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Ciò avviene anche perché lo scopo delle CER è quello di garantire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità locale in cui opera, piuttosto che privilegiare la creazione di profitti meramente finanziari.
In questo frangente si colloca all’interno del programma Horizon 2020, il progetto SCORE “Supporting Consumer co-Ownership in Renewable Energies”, bandito dall’Unione Europea per studiare soluzioni che garantiscano uno sviluppo sostenibile. L’obiettivo principale è quello di verificare empiricamente la fattibilità, in prospettiva non solo giuridica ma anche tecnico-economica, delle comunità energetiche di energia rinnovabile.
In particolare, che cosa è il progetto SCORE?
Il progetto SCORE, di fatto, ha attuato i “Piani di azionariato dei consumatori” (CSOPs) facendo ricorso alle best practices del settore cercando di attrarre forme di finanziamento inclusive che agevolassero la creazione delle CER.
Tra l’altro, avendo avuto il privilegio di agire come consulente legale per l’Italia in seno a tale iniziativa, posso testimoniare come ci sia stata una buona ricaduta sui territori interessati.
La prima aspirazione del progetto, oggi ancora più attuale e urgente, è stata quella di coinvolgere le categorie più fragili di consumatori (a partire dalle famiglie a basso reddito) in aggregati che diminuiscano su larga scala il fenomeno della povertà energetica. Questo tema è tuttora poco considerato in Italia, ma che rappresenta un argomento in cima all’agenda politica europea. Ciò avviene facendo diventare i consumatori (co-)proprietari di Energia Rinnovabile, che nel caso di SCORE si concentrano in tre Regioni italiane pilota e in alcune città europee.
Ad oggi, comunque, le comunità energetiche rappresentano un fenomeno limitato nei numeri, anche se i presupposti normativi fanno presagire risultati più convincenti e auspicabili, visti i costi crescenti e sempre meno sostenibili dell’energia e grazie all’apparato di fondi disponibili per l’attuazione delle stesse.
In tale direzione, dunque, lo strumento delle CER potrebbe ben essere analogicamente esteso ad altre forme di intervento, sfruttando, ad esempio, le possibilità offerte dalle ampie superfici (anche di edifici pubblici) che sono sottoutilizzate. Potrebbe, al contempo, promuovere un significativo disancoraggio dall’impiego delle energie fossili, garantendo così l’accesso a energia a costi ridotti per tutte le fasce di reddito della popolazione.